Tuesday, June 17, 2025
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Milano, le confidenze di Chamila a una collega: Emanuele De Maria le chiedeva dei soldi


di
Luigi Ferrarella

La donna è stata uccisa dal killer che poi si è suicidato buttandosi dal Duomo. Il pm chiede spiegazioni ai vertici del carcere di Bollate: perché la visita in hotel dopo il suicidio del detenuto?

Il pm Francesco De Tommasi ha chiesto per iscritto spiegazioni al direttore del carcere di Bollate, al responsabile dell’equipe trattamentale dei detenuti e a una psicologa sulla visita che i tre professionisti — senza però avvisare gli inquirenti o chiedere se per caso vi fossero controindicazioni — hanno fatto all’Hotel Berna lunedì 12 maggio (all’indomani del suicidio dalle terrazze del Duomo del detenuto Emanuele De Maria, evaso dal lavoro esterno in hotel) per incontrare la direttrice e il personale dell’albergo: quello in cui lavoravano sia De Maria (condannato a 14 anni e 3 mesi nel 2018 per l’assassinio di una giovane tunisina nel 2016), sia i due colleghi che De Maria venerdì 9 maggio ha assassinato e ferito gravemente, e cioè la 50enne italosrilankese Chamila Wijesuriya con cui aveva allacciato una relazione, e il collega egiziano Hani Foua Abdelghaffar Nasr.

Motivato probabilmente dalla sensibilità di non defilarsi di fronte allo smarrimento e al dolore dei colleghi delle vittime e dell’assassino, e dalla volontà di provare a spiegare i meccanismi e i risultati positivi ma anche le difficoltà di valutazione di questi percorsi di reinserimento, durante questo incontro una dipendente straniera dell’albergo ha mostrato un profondo turbamento emotivo. Ascoltata poi dagli inquirenti, l’ha ricondotto a una confidenza fattale tempo fa da Chamila: non soltanto — come già si sapeva — una certa preoccupazione della donna per il fatto che De Maria le manifestasse un attaccamento morboso, con annesso timore di qualche «piazzata» sul luogo di lavoro, ma anche l’accenno a richieste di denaro fattele dal detenuto in una cornice però che Chamila avrebbe percepito latamente minatoria nella sfera delle dinamiche relazionali. Sensazione di cui ora gli inquirenti valutano un possibile indiretto riscontro in un’immagine nel telefonino della donna uccisa.
 
La confidenza — su tratti comportamentali allarmanti che però punteggiano alcuni rapporti personali senza per fortuna sfociare in atti di violenza — rimase comunque tra le due amiche, e non risalì la catena dei soggetti eventualmente titolati o obbligati a segnalare anomalie al circuito istituzionale: come invece avvenuto ad esempio venerdì pomeriggio per la mancata presentazione al lavoro del detenuto, subito dopo la quale i giudici di sorveglianza gli avevano revocato il beneficio già quel giorno.




















































«Non può essere una singola vicenda, per quanto incomprensibile e tragica, a mettere in discussione un sistema che rappresenta l’unica valida alternativa rispetto alla reclusione inumana e senza speranza», intervengono gli avvocati della Camera Penale di Milano, per i quali «sarebbe bene affidarsi al silenzio»; ma «visti gli sviluppi anche procedimentali della vicenda, che sembrano indirizzati a ricercare responsabilità della magistratura di sorveglianza e delle funzioni trattamentali all’interno del carcere», rimarcano che «chi opera per rendere possibili percorsi di recupero e reinserimento, con mezzi limitati e in strutture inadeguate, deve essere supportato e non fatto oggetto di processi sommari, con cui si ricercano responsabilità per fatti imprevedibili».

Su De Maria, di cui le relazioni del carcere attestavano una revisione critica conforme all’esito dei processi sull’assassinio della ragazza tunisina nel 2016, la Procura sta esaminando quelle sentenze: le quali ritenevano «contraddetta da tutti gli acquisiti elementi di prova» la «legittima difesa» addotta dall’imputato, il quale asseriva di avere reagito alla minaccia della donna intenzionata a rapinarlo con un coltello nel contesto di un acquisto di droga.


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17 maggio 2025 ( modifica il 17 maggio 2025 | 07:23)



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